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 kierkegaard

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Silvietta89

Silvietta89


Femmina
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MessaggioTitolo: kierkegaard   kierkegaard Icon_minitimeMar Apr 22, 2008 5:10 pm

Kierkegaard



È un filosofo che si colloca nella prima metà dell’800; è originale per la sua epoca e per questo motivo non veniva molto compreso.
Vita


1813/1855

K. ci ha lasciato un diario dal quale emerge una vita piena di sofferenze. In vita sua non riuscì a fare scelte definitive. Studiò filosofia teologia e fece anche il seminario (ma non diventò prete protestante). Si fidanzò per un anno ma ruppe il fidanzamento. Dunque caratteristica fondamentale della sua vita è l’incompiutezza.

K fu l’ultimo di 7 fratelli ed era in una famiglia domata da una religiosità cupa e severa. K. visse con un forte senso del peccato e nei suoi diari racconta spesso di una macchia (peccato) di cui il padre era macchiato. A tal proposito ci furono due ipotesi:

  • il padre era sposato e quando la moglie morì sposò la serva che già era incinta;
  • Imprecazione che il padre aveva rivolto a Dio;


Lui è convinto che sulla sua famiglia gravava una colpa.

Era ricco, studiò teologia all’università di Copenaghen e ci mise dieci anni per laurearsi. Solo dopo una serie di lutti (i genitori e 5 fratelli) decise di sistemarsi. Si laureò e si fidanzò con Regina Olsen. La abbandonò dopo un anno di fidanzamento e si dedicò allo studio. Frequentò lezioni di Schelling ma non lo entusiasmava l’idealismo.


Esistenzialismo



L’esistenzialismo, filosofia della crisi, segna un’interiorizzazione delle crisi dell’800 e pone al centro della propria riflessione l’uomo concreto.

K. pone a tema concetti come: Scelta,Possibilità,Angoscia, Esistenza, tematiche dell’esistenzialismo.



Per Hegel la filosofia deve conoscere l’essenza dell’uomo, l’esistenza invece è un concetto non prioritario.



Per Kierkegaard invece l’esistenza è “l’esserci”, e non è solamente riconducibile ad un concetto perché essa ex-iste, ovvero sta fuori dal pensiero -> l’uomo deve uscire da sé stesso per compiere una scelta.

L’esistenza è alla base dell’esistenzialismo.

Kierkegaard parla quindi dell’esistenza costruendo un discorso concreto, in quanto l’uomo stesso è un essere concreto, singolo, che deve scegliere cosa essere.



La visione dell’uomo è di un uomo “gettato nel mondo”( Heideberg), espressione che tende a sottolineare un uomo che è nel mondo ma non si sa il perché. L’uomo quindi è visto come un essere contingente ed è considerato nella sua individualità, concretezza e nella difficoltà dell’esistenza.

Ciò che caratterizza l’uomo è il dover fare progetti per orientare la propria vita. L’uomo è chiamato a diventare quello che vuole diventare.



La filosofia della crisi traccia quindi l’immagine del mondo come qualcosa di senza senso. K. individuerà come unica soluzione al senso dell’esistenza [Che esistenza vale la pena di vivere?],la religione.


Opere



Le sue opere sono contraddistinte da pubblicazioni sotto pseudonimi [ad esempio Victor Eremita]. Questi non servivano per nascondere che le opere erano sue, bensì rappresentare un ideale di vita senza soffermarsi troppo sulle sue idee.



È come se ogni opera fosse possibilità di esistenza etica, estetica o religiosa.

Vuole che ogni opera rappresenti un modo di esistere concreto.



Le opere non sono di carattere sistematico perché lui non vuole trasmettere una verità assoluta ma una verità soggettiva.

v Postula conclusiva non scientifica alle briciole di Filosofia


Parla di una verità soggettiva cioè che serve al soggetto che abbia a che fare con l’uomo.



Prende la definizione di verità adeguatio intellectus adren cioè se quello che penso è adeguato a ciò che è,allora è vero.

Da dunque al vero un carattere più concreto.



La verità è conformità di uno spirito esistente con l’essere capace di colmare la sua passione. La verità non è teorica, è qualcosa che esiste concretamente e allo stesso tempo riguarda lo spirito.

La verità soggettiva è quella che cerca di colmare il mio bisogno di pienezza e il mio bisogno di senso (passione).

La passione è il desiderio di senso -> la verità deve colmare questo desiderio. Verità coincide con Dio.

L’unico essere in grado di colmare questo senso di passione è Dio.

L’uomo deve mettersi in contatto con Dio per colmare i suoi desideri.



La verità non è un oggetto che conosco per mezzo della ragione, bensì una realtà che mi realizza.


Etica Estetica e Religione



“Enten…Eller” (o…o) – opera del 1843

In quest’opera Kierkegaard vuole parlare di due modelli di esistenza: l’ideale estetico e l’ideale etico.

L’opera viene pubblicata sotto lo pseudonimo Victor Eremita , che finge di aver trovato un manoscritto dentro un cassetto di una scrivania antica che aveva comprato e di volerlo pubblicare. Questo scritto è di autori differenti che K. nomina “Scritti di A” e “Scritti di B”.



Scritti di A -> 8 scritti. Rappresentano l’ideale estetico

Scritti di B -> 2 scritti. Rappresentano l’ideale etico.



l’esteta

L’esempio di ideale esteta scelto da Kierkegaard è quello del Don Giovanni, presentato nell’opera studi erotici immediati, ovvero il musicale erotico : Egli è un grande amatore ma non può assolutamente essere considerato un uomo di scelta. Infatti non sceglie mai una donna, si fa trascinare dalla vita. Egli vive il carpe diem. Non vivrà mai un amore psichico ma soltanto quello fisico perché ha paura della perdita e del tradimento. L’amore erotico invece non ha preoccupazioni perché è quantitativo.

La vita dell’esteta porta però alla disperazione poiché si rende conto che tutto quello in cui si abbandona è vano; cerca di sfuggire alla noia vivendo tutte le situazioni che gli capitano, senza scegliere, e per questo la sua vita sfocia nella disperazione.

Per ovviare a questa disperazione dovrebbe cercare di passare alla vita etica (anche se da sola non basta)



L etico L’esempio che prende è quello dell’ Assessore Guglielmo, uomo di famiglia, che riveste un importante ruolo sociale: ogni giorno rinnova le sue scelte quindi è un uomo etico, ovvero di scelta.

L’uomo etico ha però un limite; pensa di riuscire ad ovviare alla disperazione proprio tramite la scelta, senza tenere conto del fatto che le sue scelte possono essere sbagliate quindi peccaminose, trovandosi così di fronte alla sua finitezza.

Tramite il pentimento, però, questo personaggio sa di poter rimediare al peccato.

MA come posso pentirmi se non c’è qualcuno che perdona?. È Dio che garantisce che di fronte al pentimento qualcuno ti può perdonare.



In altre parole, la vita etica è anch’essa destinata alla disperazione se non sfociasse nell’ideale religioso, non più affrontato in “enten…eller”, ma in Timore e Tremore (1843).



Ci sono quindi tre modelli di esistenza: quello estetico, quello etico e quello religioso; il passaggio, possibile ma non necessario, dall’uno all’altro, implica sempre una radicale rottura, un salto. Il modello religioso è, dunque, il terzo modello di esistenza, che non conduce alla disperazione come i primi due.



Già dal titolo possiamo capire che l’uomo vive affidandosi a Dio, ma non si tratta di un cammino semplice: la fede non è tranquillità.



Infatti la fede è un’esperienza propria del singolo, vissuta in piena solitudine. È un rapporto paradossale con Dio perché implica lo scontro con i propri affetti e sentimenti, e perché aperto sull’ignoto. La Fede non è un punto di arrivo fermo, sereno, tranquillo, porta invece inquietudine, timore, perché presuppone un completo affidarsi a Dio.

Per questo Kierkegaard parla di salto: così come un salto presuppone un distacco dal terreno, affidarsi a Dio presuppone un salto verso qualcosa di non ben definito, che presuppone una sospensione della ragione.



Nel brano tratto dall’opera “Timore e Tremore” Kierkegaard si è servito del dramma di Abramo(1) per giustificare le sue affermazioni.

Abramo non può essere capito dalla massa perché vive un rapporto speciale con l’assoluto e non può comunicare a nessuno la sua angoscia.Egli è l’emblema della fede, accetta di compiere un atto assurdo solo perché Dio gliel’ha comandato-> Abramo mettendodi nelle mani di Dio compie un salto, che comporta paura. La fede cristiana stessa è un paradosso perché Dio si è fatto uomo, è passato da infinito a finito, soffre come uomo ma pensa come Dio, e questo è considerato come lo scandalo della ragione.

Kierkegaard si immedesima in Abramo: quel Dio che ha ordinato ad Abramo di sacrificare Isacco, ha imposto a lui di rinunciare a Regina Olsen e entrambi non possono giustificare la loro scelta.



Kierkegaard si serve anche della figura di Agamennone(2).



Infatti entrambi sacrificano i propri figli, ma i sacrifici in questione sono totalmente diversi:

- Agamennone è disposto a sacrificare sua figlia per il bene del suo popolo, agisce per l’universale e per questo è un eroe

- Abramo è disposto a sacrificare il figlio, senza nessun riscontro: non agisce per l’universale ma come singolo di fronte a Dio e questo lo rende incomprensibile di fronte agli altri.

“mentre su Agamennone si può piangere, su Abramo no”

= Agamennone si può compatire perché agisce per il bene universale; mentre Abramo no perché si può capire la sua scelta solo se si è al suo posto. Abramo è un cavaliere della fede.
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Silvietta89

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MessaggioTitolo: Re: kierkegaard   kierkegaard Icon_minitimeMar Apr 22, 2008 5:10 pm

Il tema dellangoscia



“Il Concetto di Angoscia” 1844

L’angoscia è il sentimento che l’uomo prova di fronte alle infinite possibilità che ha davanti a sé. L’angoscia non è una paura, ma uno smarrimento perché l’uomo non sa che possibilità scegliere e non sa se quella che sceglie è quella giusta. Non è determinato da qualcosa in particolare ma da qualcosa di vano, è il sentimento più grave da sopportare. Il tempo dell’angoscia è l’avvenire anche se temo che qualcosa di passato può tornare.



L’angoscia è formativa perché nell’angoscia l’uomo si rende conto di essere finito e viene orientato verso l’infinito, cioè Dio. L’unica soluzione per l’angoscia è affidarsi a Dio.



- Sartre riprende questo tema ma non trova soluzione, l’angoscia dipende dalla scelta, quando non si sa che comportamento avere in determinate situazioni. L’angoscia è “l’apprensione riflessa di sé”, e non è uguale alla paura, perché la paura nasce da ciò che c’è fuori di me.

- Heideberg dice che l’angoscia è dovuta dalla morte, l’uomo sa che può compiere diverse scelte, ma sa anche che la sua ultima possibilità è la morte che distrugge tutte le possibilità e le scelte precedenti. Non c’è soluzione all’angoscia, se ne deve solo prendere atto e chi fa ciò vive una vita giusta.


Il tema della Disperazione



“Malattia Mortale” 1849

La disperazione è la malattia mortale, è l’incapacità di accettare se stesso e nasce dal rapporto che l’uomo ha con se stesso. Ha 2 alternative:

- volere se stesso accettarsi e prendere atto della finitezza, [anche se l’uomo cerca sempre di colmare questa finitezza con Dio.]

- Non volere se stesso essere altro da sé. [però non si può realizzare]



L’uomo è destinato al fallimento perché non riuscirà a portare a termine i suoi obiettivi. La disperazione è malattia mortale perché è il vivere la morte dell’ Io.

L’accettarsi è possibile solo se ci si affida a un essere superiore infinito, Dio, capace di colmare le passioni umane.



Anche Pascal sostiene l’affidamento a Di e entrambi fanno riferimento al Dio del cristianesimo. Nel rapporto di fede, Kierkegaard introduce una nuova temporaneità: l’uomo di fede vive l’istanteà è l’ingresso di Dio nella storia dell’uomo. L’attimo invece sfugge, non rimane nulla dell’attimo.




Hegel vs Kierkegaard



L’approccio:

q Hegel mon parla della vera essenza dell’uomo.

q Kierkegaard fa dell’essenza dell’uomo il fulcro della sua filosofia.

La verità:

q In Hegel è oggettiva, appresa con la ragione.

q Per Kierkegaard è soggettiva, relativa ad ogni singolo.

L’uomo:

q Hegel si occupa dell’uomo nella sua unità

q Kierkegaard si occupa dell’uomo nella sua individualità.



Kierkegaard vs Sartre



q Per Sartre “l’esistenza precede l’essenza”, l’uomo ha un’essenza e questa lo porta a vivere una determinata esistenza

q Per Kierkegaard l’uomo ha sì un’essenza, ma ha la possibilità di scegliere la sua esistenza.
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